12 agosto 2015, ore 21:30

DATI TECNICI
Regia: Peter Marcias
Cast: Luli Bitri, Salvatore Cantalupo, Andrea Dianetti, Vesna Bajramovic, Fadil Sulejmanovic
Genere: drammatico
Durata: 80’
Anno: 2012
Casa di Produzione: Pablo
Uscita: dicembre 2012

Trama

“Alina è una ragazza di origini rom che vive da anni a Parigi. Rientrata nel campo dei genitori, nei pressi di Cagliari, incontra il commissario di polizia della città, a cui è stata affidata l’indagine su un caso di rapimento interno al campo. Tra i due nasce un’amicizia dapprima guardinga poi sempre più stretta. In cambio della sua collaborazione alle indagini, Alina chiede al commissario di non limitarsi a stare ai bordi della sua comunità ma di conoscerla dall’interno, allenando un gruppo di piccoli calciatori.”

Si potrebbe credere che il regista si nasconda dietro il personaggio di Alina, a suo agio tra due culture al punto da conoscere i limiti e i pregiudizi di entrambe, invece, per sua stessa ammissione, Peter Marcias è più simile al personaggio interpretato da Salvatore Cantalupo, non avendo mai messo piede in un campo rom prima dell’inizio di questa avventura cinematografica.
In fondo, però, il discorso del film è molto più in generale un discorso sul grande tema del nostro tempo, quell’integrazione che l’etica auspica e la realtà allontana. Con Dimmi che destino avrò Marcias trasforma letteralmente il messaggio in mezzo, realizzando l’integrazione a livello della costruzione filmica, ovvero ibridando finzione e realtà. Anziché, però, mutuare il procedimento della docufiction, che integra i documenti relativi al reale con delle ricostruzioni inventate ad hoc, qui accade l’inverso: è la realtà a supplire e completare la finzione. Dopo una partenza quasi di genere, che potrebbe tranquillamente essere l’ingresso di un giallo, l’oggetto dell’indagine si allarga dalla persona del ricercato ad un mondo intero e subisce una nuova e speculare trasformazione quando il poliziotto entra nella baracca della famiglia di Alina -che è una vera famiglia di nomadi- e finisce per diventare lui stesso l’oggetto della diffidenza e della curiosità dei presenti.
Il movimento che dalla finzione narrativa man mano procede verso un’immersione sempre più profonda nella realtà, fino a confondere i fattori (in una sorta di scambio finale ideale tra le figure di Alina e del commissario), è l’esperienza emotivamente più interessante che il film regala allo spettatore, oltre che la dimostrazione che il metodo usato dal regista per portare la vita nel cinema (e viceversa) è una strada ancora poco frequentata che può dare invece dei bei risultati.
Pur con qualche imperfezione e ingenuità (ci si chiede, per esempio, se c’era davvero bisogno della storia privata del commissario per insistere sul tema dell’accettazione della diversità), Dimmi che destino avrò è un film nel quale si respira una salubre aria di libertà creativa e si applaude alla prova di una giovane grande attrice quale è Luli Bitri.”


BIOGRAFIA

Peter Marcias nasce ad Oristano il 5 Dicembre 1977 studia sceneggiatura a Roma e a Bologna, diplomandosi in regia cinematografica alla Scuola Superiore di Cinema di Barbarano Romano (Viterbo). Realizza numerosi spot, documentari e cortometraggi presentati nei festival nazionali ed internazionali tra cui Olivia (2003), Il canto delle cicale (2004) e Antonio Romagnino (2005) ritratto del grande scrittore cagliaritano. Nel 2008 realizza il suo primo lungometraggio a soggetto, firmando lo sperimentale, ambizioso e interessante Un attimo sospesi (2008) con Paolo Bonacelli, Ana Caterina Morariu e Fiorenza Tessari, che racconta l’incrocio fra le vite di cinque persone fobiche, bizzarre, sociali e distratte. Contento di questa esperienza firma, nel 2011, I bambini della sua vita con Piera Degli Esposti, il suo secondo film. Nel 2012 esce invece Dimmi che destino avrò, che affronta il difficile tema dell’integrazione tra culture diverse. Peter Marcias nei suoi lavori racconta ”quel mistero che è il mondo e i rapporti umani, fra inni religiosi e ballate omosessuali, i bambini come rappresentazione di un amore infinito e tragici squarci di vita cittadina, lontana dalla ruralità. Parte della sua bravura sta sicuramente nell’andare fino in fondo all’anima, in quella profondità impossibile, capace di raggiungere le tenebre dei sentimenti che sono alla base di chiunque, sardo e non. Lì, evoca il calore di una (com)passione sovrumana e si innalza, giudicando, giudicandoci e giudicandosi.”